Crisi, delocalizzazione, Cina, sono parole ormai quasi prive di significato per quanto le abbiamo sentite, litania postmoderna che pian piano svuota di senso anche la realtà più drammatica.

Cosa vuol dire crisi, per esempio nel caso di una città come Prato? Siamo ancora quasi abituati a considerarla l’eccellenza e uno dei centri più importanti per i tessuti e i filati che non ci siamo quasi accorti che è quasi scomparsa, che tutte le aziende italiane sono state sostituite da aziende cinesi, che una grande percentuale della popolazione di Prato è cinese.

E che vuol dire questo? Che migliaia di persone la cui vita girava intorno alle industrie tessili e alla manutenzione dei telai adesso sono disoccupate o se sono fortunate in cassa integrazione e sono costrette a reinventarsi una vita e un’identità che avevano costruito intorno a quel lavoro che sembrava sicuro.

E allora la piccola storia delle persone si scontra con la grande Storia dei flussi economici, della globalizzazione. della Cina che ha comprato i debiti pubblici di metà Europa e degli Stati Uniti.

E di una storia personalissima e intima, del padre della regista e del suo rapporto con la crisi, una storia che sembra piccola ma che è enorme, imprescindibile perché è la storia di un essere umano e della sua vita.